“Il movimento Slow Food è nato per difendere il diritto al piacere. È sempre stato il nostro approccio distintivo, anche nel mondo del vino. Ed è a partire da queste premesse che ci prefiggiamo di proporre un percorso di consapevolezza, per far conoscere al consumatore tutto ciò che sta dietro a un piatto o a un buon bicchiere”. Barbara Nappini ci parla tra gli stand di BolognaFiere, dove fino a martedì va in scena la seconda edizione della Slow Wine Fair.

“Una manifestazione che sta confermando il suo successo: da quando i cancelli si sono aperti, stiamo assistendo a un vero e proprio assalto di appassionati e operatori”. Un pubblico, dice la presidente di Slow Food Italia, “che non è qui solo per degustare in modo generico, ma per scoprire vini che sono frutto di un’agricoltura sostenibile, le cui parole d’ordine sono biodiversità?, tutela del paesaggio agricolo, uso ponderato delle sue risorse, crescita sociale delle comunità? contadine. Il calice è un pretesto, o meglio un mezzo attraverso il quale si può fare un discorso di vita, di scelte produttive e culturali”.

Lo ha detto bene Pau Moragas Bouyat, vignaiolo del collettivo spagnolo l’Olivera, durante la conferenza inaugurale della fiera, intitolata “Il futuro del vino è buono, pulito e giusto” e moderata dal direttore del Gusto, Luca Ferrua: “In un mondo in cui emerge spesso l’individualità, è fondamentale lavorare come comunità, fatta di cittadini complici della nostra attività. I consumatori sono co-produttori, con le loro scelte possono partecipare alla creazione di valore del prodotto e orientarlo. Ma devono avere gli strumenti per farlo correttamente e con coerenza”.

Così, tra i 750 espositori e i tanti operatori presenti alla manifestazione, può capitare di incontrare Olena Motuzenko, docente di Geografia e uso razionale delle risorse all’Università di Kiev, sfollata in Italia all’inizio del conflitto. “Ho deciso di rifugiarmi qui e di lavorare per creare un corridoio accademico e umanitario tra l’Italia e l’Ucraina – racconta -. Ora sono visiting professor allo Iuav di Venezia e come esperta di turismo del vino sto portando avanti un progetto di sviluppo di strade del vino e del gusto in Ucraina”.

Con il sostegno di Slow Food, è stato creato un network tra i produttori locali e il settore dell’accoglienza. “Stiamo facendo i salti mortali per non fermarci neppure durante la guerra, la forza della resistenza è grandissima – dice Olena -. Durante le riunioni online, sento le sirene che suonano in continuazione. Nel mio paese ci sono 250 km quadrati di campi minati e la situazione è difficile, ma i contadini non abbandonano le loro vigne e ogni gesto solidale, ogni occasione di contatto per loro è fondamentale”. A Kiev come in Italia. Sui Colli Euganei l’associazione Graspo che tutela i vitigni storici ha accolto Anatolii Bobrovsykyi, un viticoltore 73enne di Kherson, e gli ha messo a disposizione un piccolo vigneto con le barbatelle di quattro antichi vitigni perduti del padovano.
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Storie di solidarietà che si rincorrono tra gli stand di una fiera che come obiettivo principale sembra avere quello di contribuire a mettere in connessione tante energie positive. “Abbiamo bisogno di una produzione alimentare e vitivinicola che ci garantisca un futuro buono, pulito e giusto, piuttosto che inficiarlo – dice la presidente Nappini -. E qui a BolognaFiere ci sono centinaia di produttrici e produttori della Slow Wine Coalition che condividono riflessioni approfondite e oneste sul vino e che stanno già facendo un percorso di tutela della biodiversità, di salvaguardia della fertilità del suolo, con un altissimo senso di responsabilità verso il territorio e il paesaggio”. Non solo in Italia.

Passeggiando tra gli espositori, si possono incontrare i produttori del sorprendente villaggio turco di Bodrum, dove la vite cresce come un vero e proprio albero e i grappoli si raccolgono salendo direttamente sui rami. Oppure quelli orgogliosi della Macedonia del Nord che raccontano di varietà autoctone come Rkaciteli e Zupjanka e parlano di chi è tornato in patria a fare il vino dopo anni di fatiche ed esperienze maturate sulle colline venete o piemontesi.

Tra gli ospiti stranieri, ci sono anche otto cantine cinesi. La più conosciuta si chiama Silver Heights Vineyard: fondata nel 2007 dalla famiglia Gao nella provincia del Ningxia, è pioniera della produzione biodinamica e l’enologa Emma Gao ha affinato le sue capacità a Bordeaux. Non solo tecniche, ma anche commerciali: la bottiglia di punta di questa boutique vineyard d’oriente, il cabernet sauvigon Emma’S Reserve, sfiora i 200 euro e lo trovate nelle carte dei migliori ristoranti non solo di Pechino e Shanghai, ma anche di Londra e New York.