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"Non ho un braccio e faccio il bartender". La storia di Dario alias Capitan Uncino

Dario Balzano al lavoro
Dario Balzano al lavoro 
Barese, 28 anni, convive da sempre con la disabilità: "Non mi sento un invalido, all'inizio non trovavo lavoro, poi ho smesso di dire che mi mancava un arto e mi hanno assunto. Nessuno è un supereroe, a volte basta chiedere 'mi dai una mano'?"
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“Sono come Capitan Uncino, ma senza uncino. E se mi chiedi come sia fare il barman con solo un braccio non ti so rispondere: non ho mai avuto due braccia, quindi non so cosa significhi, cosa si provi. Per me fare tutto senza una mano è la cosa più naturale e semplice che possa esserci”. Simpatia, ironia e anche una parte di sano cinismo: è tutto quello che porta con sé dietro al bancone Dario Balzano, nato a Bari 28 anni fa, il bartender in guanti neri che ha sfidato – ha abbattuto – ogni tipo di pregiudizio a colpi di cocktail e sorrisi alla vita. “Gli amici, la scuola, lo sport: fin da bambino la mia famiglia mi ha fatto vivere con gli altri, come gli altri” – spiega Dario – Dalla classe allo spogliatoio, mi sono sempre sentito integrato, parte del gruppo. Il contatto con la gente per me è essenziale. Ricordo che da adolescente il bar era uno dei miei luoghi preferiti, proprio per la facilità con cui si parlava con le persone e si instauravano nuovi rapporti. E il barman era una sorta di presenza mistica, capace di catalizzare l’attenzione, di ascoltare e di raccontare: ti faceva viaggiare stando dietro ad un bancone”.

Ed è nato così il desiderio di intraprendere questa professione, alla faccia di quell’etichetta da invalido così ingombrante e fastidiosa. “Non mi sento per niente invalido, mi sento diversamente abile: semplicemente faccio le cose in maniera differente. Inizialmente avevo anche specificato il mio deficit fisico nel curriculum: i gestori a cui mi proponevano mi guardavano con interesse, erano anche ben colpiti dal mio entusiasmo e dalla mia voglia di fare, poi però mi scartavano sempre. Vedevo proprio nella loro testa il fumetto che diceva: “Ma perché devo assumere una persona con un braccio solo per fare una professione in cui ne servono due?”.

"A quel punto ho deciso di non dirlo più, e ho iniziato a trovare lavoro di locale in locale: ci sono proprietari che se ne sono accorti dopo qualche mese che ero senza una mano, a dimostrazione che non era certamente un limite”.  Guanti neri sempre indossati – anche per nascondere la protesi che a qualche cliente potrebbe comunque dare fastidio – oggi Dario opera nella sua Bari all’interno dello storico panificio Signorile, riaperto dopo una quindicina d’anni dal nipote del fondatore, in una forma modernizzata con l’aggiunta della caffetteria e di un american bar. “Non ho un drink preferito, mi piace seguire i gusti del cliente, e poi rivisitare i cocktail – anche classici – andando incontro ai desideri. Ho un debole per tutto ciò che è nato attorno agli anni ’20: mi piace studiare ricette dell’epoca e poi riproporle con una chiave personale”.

A chi gli chiede cosa ci sia sotto a quei guanti, non ha nessun problema a dirlo. Anzi, ecco l’occasione per parlare di limiti – fisici e mentali – in una chiave nuova, senza dimenticare il passato da allenatore di parkour o la passione presente per la Capoeira. E una consapevolezza raggiunta dopo anni di lavoro e riflessione su se stesso: “Nessuno è un supereroe, nessuno può farcela da solo: il mio traguardo più grande è stato accettare l’aiuto degli altri. E’ stato riuscire a pronunciare all’occorrenza, senza vergogna, una frase semplice semplice: “Mi dai una mano”. Ed è forse quello che dovrebbero imparare a fare tutti”. Parola di bartender.