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Ostriche e Champagne nei rifugi? I puristi inorridiscono ma per gli chef la montagna si salva anche così

Ostriche e Champagne nei rifugi? I puristi inorridiscono ma per gli chef la montagna si salva anche così
Una polemica lanciata dal presidente del Cai dell'Alto Adige: il pesce mangiamolo al mare, farlo arrivare qui in elicottero non è sostenibile. I cuochi: il territorio va rispettato ma anche con i prodotti di lusso si combatte lo spopolamento
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Come si potrebbe definire un rifugio di montagna, ovvero quali sono le caratteristiche di un luogo al quale attribuire con sicurezza questo nome? E che cosa è lecito aspettarsi in termini gastronomici? Tutto parte da un’intervista a firma di Paolo Campostrini su Altoadige.it, quotidiano online bolzanino, al presidente del CAI (Club Alpino Italiano) dell’Alto Adige Carlo Alberto Zanella, il cui incipit è emblematico: “Ho saputo che in un rifugio hanno litigato". "E come mai?", incalza l’intervistatore? “Beh, sono arrivati in due e hanno chiesto del pesce. Anzi, una frittura. Il gestore gentilmente ha risposto che non si pescava lassù. Loro a dire che avevano sentito che invece sì e allora la discussione è degenerata. Ecco cosa può capitare a mostrare una montagna in cui si può tutto”. Nell’intervista Zanella precisa di non essere un fautore di posizioni estreme, ma allo stesso tempo afferma che c’è un limite.

 

I rifugi del CAI in Alto Adige sono sei, tutti sufficientemente confortevoli, ma prosegue Zanella “questo non dovrebbe stravolgere il senso di stare in un rifugio. Che sta nel fatto di arrivarci e chiedere di dormire e di mangiare. Direi soprattutto di dormire. Sono luoghi di accoglienza, in cui si sa che non si sarà mai respinti”. Ecco perché non andrebbero chiamati rifugi quelli che secondo lui sono in realtà ristoranti, anche in quota. Luoghi legati alle pretese di un pubblico sempre più esigente e non gestito, questione che implicherebbe in alcuni mesi un afflusso eccessivo che a sua volta farebbe perdere i turisti in cerca di tranquillità a favore di una montagna Luna Park. Ma è sempre il tema della ristorazione a tener banco nell’intervista, quando Zanella afferma che “l’idea di coniugare pasti gourmet e sommelier con la montagna è iniziata in Val Badia. All’inizio contando sulla sua realtà di un pubblico selezionato a causa dei prezzi, poi la questione si è estesa. E adesso è arrivata a toccare anche l’ultima trincea, quella dei rifugi". In buona sostanza, se non ci si può dormire non è più un rifugio, è una mensa. Anche se gourmet”. Dove, secondo quanto afferma ancora lo stesso Zanella, spesso i prodotti arrivano in elicottero. 
 

Una famiglia mangia fonduta di formaggio in una baita sulle Alpi
Una famiglia mangia fonduta di formaggio in una baita sulle Alpi 

Quanto sono condivisibili queste affermazioni? Si tratta di temi che hanno a che vedere con una questione complessa e dibattuta da tempo, con la sacrosanta necessità di preservare l’ambiente della montagna e con la parallela, incontestabile, esigenza di sostenerla. E anche con una certa retorica che vorrebbe la montagna incontaminata e destinata ai pochi eletti in grado di apprezzarla davvero, salvo il fatto di vederne spopolati i paesi e in ginocchio le dinamiche economiche locali. Probabilmente quello che serve, fermo il rispetto per una posizione certamente autorevole ma di parte, è un approccio laico al tema che, con tutta probabilità e sia pure condividendone il principio, richiede ben altro che l’uso di una definizione piuttosto che un’altra. Abbiamo voluto chiedere ad alcuni chef protagonisti della gastronomia altoatesina il loro punto di vista, che si è rivelato tutto sommato coerente tanto con alcune affermazioni di Zanella, quanto con la necessità di un approccio pragmatico.

 

Per primo un cuoco come Claudio Melis, un sardo che dopo 50 anni ha riportato a Bolzano con il suo InViaggio la stella Michelin. Questo dopo essere stato in giro per il mondo e molto in montagna, sia in Val Badia sia a Madonna di Campiglio: “Certo bisogna fare una distinzione anche geografica: a Campiglio per esempio i rifugi o sono raggiungibili in inverno con le pelli, oppure sono aperti solo d’estate e il servizio è estremamente spartano. Arrivi col sacco lenzuolo, trovi da mangiare qualche semplice piatto caldo e un bicchiere di vino sfuso. Poi ci sono realtà come quella della Val Badia e della Val Gardena, lì quasi tutto è raggiungibile con gli impianti. I gestori qui hanno differenziato, ci sono posti storici come il Moritzino, dove accanto al self service c’è l’angolo con le ostriche e il pesce. Di fatto sono aspetti che vanno a convivere e più si alza il livello più cresce la richiesta, perciò nulla di male che esistano sia posti dove ci si rifugia da escursionisti sia altri dove si trovano frutti di mare e Patanegra: d’altra parte bisogna anche offrire ciò che la gente vuole. Quello che invece è preoccupante, per me, al di là del tema posto nell’intervista, è il flusso di traffico sui passi alpini, le decine di migliaia di passaggi che non dovrebbero esserci e andrebbero gestiti". 


Il rifugio Col Alt utilizza per la maggior parte prodotti locali 
Il rifugio Col Alt utilizza per la maggior parte prodotti locali  

Enrico Vespani lavora a Corvara e con Fabio Targhetta gestisce due locali, l’Ostì in paese e il rifugio Col Alt raggiungibile con gli impianti, tra i primi locali a offrire a 2000 metri i servizi di un vero ristorante. Per Vespani, che pur avendo lavorato un paio d’anni con Norbert Niederkofler non è un fautore del prodotto locale a tutti i costi, bisogna "partire dalle tendenze che sono maturate negli anni, a lungo siamo andati alla ricerca di prodotti distanti e fuori posto, abbiamo abituato i clienti a trovare tutto e ovunque e al di là delle nicchie facciamo fatica a tirarci indietro. Se andassimo a togliere pesce e ostriche andremmo a deludere aspettative consolidate. Poi spesso tendiamo a estremizzare sulla sostenibilità, perché è difficile far mangiare l’agnello locale dappertutto in Alto Adige, ma anche il cervo di quassù lo trovi poco. E poi a dire il vero ci si mette meno a far arrivare un’ostrica che la carne bio allevata in Austria e macellata in Alto Adige. Infine, non siamo rifugi CAI, siamo prettamente turistici e dobbiamo dare un servizio il più possibile allargato. Di certo, comunque, i prodotti di lusso non arrivano in elicottero”. 
Gran Ander 
Gran Ander  

Andrea Irsara, chef e titolare del Gran Ander a Badia, è uno che la montagna la vive da quando è nato: “Se si parla di rifugi del CAI sono praticamente tutti chiusi in inverno, perché si trovano a quote molto alte e di sicuro in estate non vendono pesce e caviale: ci sono camerate e brande e si mangia quel che c’è. Ci sono anche le baite, ma non hanno nulla a che vedere con i veri rifugi: non dormi, mangi e te ne vai e per la maggior parte propongono piatti locali. Però, in fondo, se i clienti lo chiedono, perché non dovrebbero servire caviale e Champagne? La questione della definizione secondo me perde di valore, perché ormai non trovi quasi più scritto rifugio, ma cose come Berghotel e Lodge, veri e propri alberghi in quota con tutti i confort. Del resto non viviamo più nel ‘900 e le richieste cambiano, soprattutto da parte dei turisti internazionali". 


Dalla Val Badia alla Valle Aurina, al ristorante più a nord d’Italia: qui il non ancora trentenne Matthias Kirchler gestisce sia il fine dining Lunaris 1964 con una decina di posti a sedere, sia la ristorazione dell’intero omonimo cinque stelle. Anche la sua è una visione tendenzialmente pragmatica, nonostante nel tempo si sia evoluto a una tendenza di cucina praticamente tutta valligiana per il locale gourmet: “Due anni fa avevo tutti i prodotti del mondo, ma sono cambiato tanto e adesso mi concentro sulla mia terra che in termini di prodotti può dare molto, anche salendo in quota. Sicuramente, anche se dopo la pandemia le cose sono mutate parecchio e alcuni chiedono le specialità di quassù, ci sono ancora gli ospiti che pretendono i prodotti di lusso".

 

Tina Marcelli infine, chef a capo di un team di sole donne al Feuerstein Nature Family Resort di Brennero, cinque stelle che ama i bambini e al suo interno ha un piccolo angolo gourmet come Artifex dove propone una notevole cucina altoatesina con qualche divagazione internazionale, ha un’opinione piuttosto netta sul tema: “La montagna va rispettata, sfatiamo la tendenza che in montagna si può tutto! Se tutto si può fare ovunque allora dove andrà a fine l'esclusività di una destinazione? I rifugi e le baite ad alta quota non devono snaturare la propria identità di luoghi di 'un tempo' dove si possono trovare piatti della nostra tradizione, anche quella più povera, decisamente autentica, magari 'contaminata' da qualche tocco più contemporaneo ma pur sempre legato al nostro territorio".