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Il teatrino infinito di Masterchef: tutti recitano e noi facciamo finta di crederci

L'ultimo caso, quello del concorrente che sarebbe ricorso allo psichiatra per la troppa pressione, conferma ancora una volta il carattere di sceneggiata nazionàl-popolare del programma
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Un ex concorrente, stressato dalle vessazioni del programma, confessa di aver trovato sollievo affidandosi per qualche ora alla cura di uno strizzacervelli: poco prima aveva osato insorgere contro i giudici di Masterchef ricordando loro “davanti a voi ci sono aspiranti chef, ma siamo anche delle persone”.  Ma quanto ci siamo rimbambiti?! Un dubbio che mi viene spontaneo come avrebbe detto il poeta: se fosse uno sceneggiato popolare di lunga durata come Dinasty o Un posto al Sole, mediteremmo veramente di insorgere in difesa di una vittima clamorosamente designata e come tale pensata a rappresentare quel personaggio per eccellenza? Isso, essa e o malamente: penso alle sceneggiate che raccoglievano un pubblico talmente appassionato da sapere a memoria i testi che si recitavano e che finivano per schierarsi dalla parte del bene, insultando e magari ricoprendo di frutta e verdura marcia gli attori che recitavano la parte del villain, il cattivo. Va bene la passione per la cucina, come va bene la fascinazione esercitata da cuochi di rango la cui fama per le gesta televisive in alcuni casi supera le riconosciute qualità culinarie, parlo di quelle dimostrate sul campo. La fiction non perdona. Né chi la fa né chi la guarda, dimenticando che sempre di uno sceneggiato si tratta. Farsi il sangue amaro per un gioco?
 

 

Il programma langue? I protagonisti divenuti prigionieri del proprio ruolo, il gigante buono Cannavacciuolo scolpito come un guerriero sannita e temuto per le vigorose pacche sulle spalle, duro ma giusto, Bruno Barbieri – vestito come un tempo il paglietta dell’avanspettacolo - puntuto ma pronto a perdonare: in fondo anche lui ha un cuore. Non gira abbastanza? Allora buttiamo dentro Davide Scabin, mossa astuta scegliere un cavallo pazzo che fa sì parte dell’establishment enogastro, ma gioca da solo.

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Un geniale outsider, padrone della tecnica e dell’invenzione, consumato da una vita spericolata alla Steve McQueen (cit. Vasco Rossi). Vivaddio. Mantiene una verginità televisiva e non appare trattenuto dai lacci e dai lacciuoli che gli sceneggiatori stringono attorno ai suoi sodali. 

Penso al povero concorrente costretto da chissà quale formula contrattuale a ritrattare quell’umile sacrosanto grido del cuore, “noi siamo uomini come voi, non trattateci come delle merde”. Ecco, l’eterno ritornello italiano di Fantozzi/Fantocci si deve imporre senza possibilità di sgarrare alcuna. Dura Fiction sed Fiction! Per chi ha uso di televisione non è difficile decodificare i ruoli assegnati a ciascuno dei concorrenti. Ma attenzione, amici spettatori, un conto è divertirsi quando il poverello è gettato nella fossa dei leoni con falsi sorrisi di circostanza – "ci dispiace, togliti il grembiule" – un altro è essere consapevoli non trattarsi affatto di gioco. Eventualmente, gioco al massacro!