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Nella piccola Mesopotamia di Calabria, dove il cedro ha casa da millenni

Nella piccola Mesopotamia di Calabria, dove il cedro ha casa da millenni
L’oro verde dell’alto Tirreno cosentino è il più ambito dai rabbini, alla ricerca dell’agrume perfetto per celebrare il Sukkot. E il gruppo Lunelli lo seleziona per la cedrata Tassoni appena acquisita
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Un diamante che impreziosisce la costa, attira turisti e crea economia all’interno di una Mesopotamia baciata dal clima, protetta dai monti e, appunto, abbracciata da due corsi d’acqua, il Lao e l’Abatemarco. Quello del cedro di Calabria è un distretto che si appresta a fare il grande salto dopo l’acquisizione delle cedriere da parte del Gruppo Lunelli che qui, nell’alto Tirreno cosentino, prenderà la materia prima per la appena acquisita cedrata Tassoni: il brand storico, alla vigilia dei 230 anni entra nella prestigiosa scuderia accanto a Cantine Ferrari, Bisol1542, Surgiva, Segnana e Tenute Lunelli andando a presidiare una nicchia – quella dei soft drink – finora non occupata dalla famiglia trentina.   


Gli agricoltori del territorio, tra ulivi magnogreci e tracce ultramillenarie di presenza umana, ripetono riti arcaici e si preparano ad accogliere i rabbini da tutto il mondo – Israele ma anche Stati Uniti e Russia – alla ricerca dell’agrume perfetto; il cedro è, infatti, tra i frutti sacri della festa ebraica delle capanne (Sukkot), durante la quale non viene consumato perché la sua funzione è semplicemente quella di accompagnare le preghiere: se nel Talmud è poco più grande di un uovo, a queste latitudini può recare cinque dita – è la cosiddetta “mano di Buddha” – o assumere la forma di un diamante – è così chiamato il “liscio” –, una varietà pregiata e molto ambita dagli ortodossi Lubavitch che ogni anno arrivano qui per individuare e raccogliere il cedro kosher.  

 

Parola ai cedricoltori. Le cedriere sono prevalentemente in collina, la maggior parte di esse sorge all’ombra di monti che – come l’Orsomarso – hanno una funzione strategica nel creare un microclima ideale: in estate la zona è fresca mentre il fiume Lao porta in dote la giusta umidità, tanto che non serve irrigazione. È un caldo umido ma non tanto da generare muffe. Il cedricoltore Francesco Annuzzi (azienda Valleverde, nel territorio di Santa Domenica Talao) conferisce i suoi frutti a uno dei due consorzi attualmente attivi. Ci porta tra le sue 450 piante risalenti al 2013 e capitozzate nel 2017, distribuite su 7 ettari. Non mancano i limoni e si stanno sperimentando anche colture di bergamotto, ma a catturare l’attenzione sono i “limoni caviale”, detti così per la polpa granulosa da abbinare a piatti di pesce: dai 70 euro al chilo della varietà bianca si sale di prezzo di pari passo con la gradazione cromatica, e dunque 80 euro per la gialla e la rosa per arrivare ai 100 euro del limone caviale rosso. È appena giunta una richiesta di fornitura da Vienna: il ristorante Casa Cairo non rinuncia a questi chicchi colorati, per rendere ancora più suggestiva la sua alta cucina di pesce, racconta Annuzzi. Questi frutti davvero unici sono tanto costosi quanto “sofferti”: una grande spina nascosta dietro ogni singolo “limone caviale” rende difficile il lavoro alle maestranze (la raccolta si fa rigorosamente a mano) ma anche il processo di crescita del peculiare agrume dalla forma piccola e allungata, che da quella durissima punta è minacciato al minimo colpo di vento.     

 


Scendiamo al livello della costa per un mini-tour con Orlando Lo Frano: il suo è un impianto moderno distribuito su un ettaro. “Non è solito trovare una cedriera in pianura – spiega –. Qui ci proviamo e abbiamo anche grandi soddisfazioni, ma dobbiamo lottare contro virus letali come il malsecco o fenomeni meteorologici estremi sempre più frequenti. Se si pensa che una pianta di cedro inizia a rendere dopo cinque anni e abbisogna di almeno 30 chili di prodotto perché la coltura sia sostenibile, si capisce che la nostra è davvero una sfida, ma siamo troppo legati a questa tradizione”. Il sogno di Lo Frano è esportare il cedro candito oltreoceano (a San Francisco c’è una folta comunità calabrese e anche i Lo Frano sono tanti…): “È una buccia unica perché è coriacea ma anche più profumata e dolce di quella del limone. Soprattutto, posso dire senza essere smentito che i nostri cedri sono i migliori al mondo: per capirci, se quelli marocchini sono un’utilitaria i nostri sono una Ferrari” sorride prima di salutarci Lo Frano, l’uomo che parla alle piante (“Una la chiamavo vagabonda, e dopo aver minacciato che l’avrei tagliata ha iniziato a fare i mandarini!”). Antonio Durante è tra i cedricoltori che lavorano per Tassoni da due decenni: la pasticceria Pignataro ha preparato una torta (indovinate l’ingrediente principale?) per celebrare l’acquisizione della cedrata da parte di Lunelli. Altri cognomi come Guaglianone e Perri, da queste parti significano da sempre coltivazione e raccolta del cedro. Si tratta spesso di impianti che coprono appena un ettaro o poco più: è come se la filosofia del “piccolo è bello” si moltiplicasse e, mantenendo la propria natura, contribuisse a generare un totale numericamente e produttivamente invidiabile. 

 

L’oro verde di Calabria in numeri. Utilizzato nella pasticceria e nella ristorazione ma anche nella cosmetica – proprio come il corregionale bergamotto, di provenienza reggina – e nei liquori, il cedro ha registrato una prima fase di commercializzazione solo a inizio Novecento. “Dalla metà del XIX secolo la cedricoltura ha raggiunto la massima espansione negli anni trenta, con una superficie coltivata di 400 ettari e una produzione di 85.000 quintali” si legge sul sito del Consorzio del cedro di Calabria, presieduto da Angelo Adduci e finanziato dalla Regione. Un secondo consorzio, guidato da Angelo Cava, è attivo da sette anni: è il CeMed, ovvero Consorzio europeo cedro mediterraneo — la proposta di Cava è quella di unire i due soggetti per avere più forza, superando questa anomalia del doppione. Completa il quadro un’Accademia internazionale (presidente Franco Galiano). “Abbiamo un indotto di un centinaio di persone, e in questa cifra non considero il settore turistico”, dice Cava, che ha intanto selezionato due piante da donare al Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah (Meis) di Ferrara per la mostra “Sotto lo stesso cielo” al via a metà ottobre. Cava fornisce anche due cifre: una riguarda l’ultimo raccolto annuo (2.600 quintali), un’altra il prezzo, che è schizzato in pochi anni da 60 a 150 euro a quintale, con punte di 200 e 220 per il frutto già sistemato in cassetta. 


Alla vigilia della campagna di raccolta, Camilla Lunelli, direttore comunicazione e relazioni esterne del gruppo omonimo, e Simone Masè, direttore generale del gruppo e ad di Tassoni, nei giorni scorsi hanno visitato alcune cedriere rinsaldando il rapporto con i coltivatori: un ideale passaggio a sud partendo dal lago di Garda, dove la celebre bottiglietta “a buccia d’agrume” da 180 ml ha origine, per approdare alla costa tirrenica. Un percorso che ogni autunno, a poche ore dalla raccolta, si rinnova nel tradizionale “viaggio del cedro” dalla riviera calabrese a Salò, sede storica e stabilimento produttivo: qui iniziano le fasi di lavorazione per l’estrazione degli olii essenziali dalla scorza mentre a fine estrazione la polpa dei frutti, intatta, viene destinata all’industria alimentare, garantendo una piena circolarità del processo produttivo.