Già mille anni fa, la contraddizione apparente tra il pesce e il salame si giocava su un confine molto sottile. Nel basso Medioevo, il termine “salamen” indicava infatti, tutti gli elementi posti sotto sale a stagionare: merluzzi o cosce di maiale che fossero. Una storia dimenticata che però delinea oggi un’incongruenza intrigante, al punto che lavorare e autoprodurre i salumi di pesce è diventata per molti cuochi una sfida creativa, ancor più difficile quando si gioca nei canoni di una cucina gourmet: così è per Roberto Balgisi, executive chef al Grand Hotel di Alassio, nella Liguria di ponente, che da poco più di un decennio è tornato ai fasti della sua storia ottocentesca. Lo chef guizza veloce tra bresaole di tonno, prosciutti di salmone e salami di orata, controllandone le stagionature e centellinando le aperture della cella frigo, dove giacciono come negli abissi del mare, e guai a disturbarne il sonno.

I clienti gradiscono: del resto, la cucina di Balgisi si spinge oltre i canoni non più stretti di una ristorazione da hotel di charme, alleandosi con la visione di Gianluca Borgna, giovane direttore dell’albergo convinto che «sì, il turismo qui è di fascia alta, ma allo stesso tempo vuole togliersi la cravatta e godersi un lusso in spiaggia a piedi nudi».
Insomma, atmosfere da “dolce vita” che danno disco verde alla cucina e incoraggiano Balgisi a percorre la via complessa del «lavorare il pesce come la carne», innestando una propria visione e affiancandola a percorsi già consolidati. Impossibile non citare quello di Moreno Cedroni (Madonnina del Pescatore, ma soprattutto la salumeria ittica Anikò, entrambi a Senigallia), autentico precursore di queste lavorazioni, o dell’australiano Josh Niland (Sidney, ristorante Saint Peter), i cui libri stanno rivoluzionando la concezione della cucina avanguardista di pesce a livello globale.

Balgisi confessa di aver percorso binari autonomi: «Fu una scintilla, tre anni fa mentre mangiavo il salame. Mi chiesi se e come fosse stato possibile farlo con il pesce e ci provai. Avevo dalla mia trent’anni di passione e sperimentazione, prima a Como e in Svlzzera, dove già autoproducevo prosciutti di anatra, cervo e quant’altro, mentre le affumicature le ho imparate da Gilberto Farina, mio mentore. Poi, certo, le innovazioni di Cedroni hanno ispirato tutti in questo segmento».

Balgisi, per tanti anni alla guida di cucine piemontesi, è un poliedrico rigoroso che ha ricavato nella sua cucina di Alassio una piccola centrale di sperimentazione gastronomica. Pestando anche sull’acceleratore di un’insistenza ben riposta perché «quando la proprietà mi ha comprato lo stagionatore ero felice come un bimbo, dato che mi si apriva un mondo».

Le frollature? «Vanno dai dodici ai quindici giorni. Per il momento sto lavorando su rombo, scorfano e ricciola: è un cambio di filosofia radicale in una gastronomia che, fino a pochi anni fa, collegava la qualità al mantra del “pescato e servito in giornata”. Oggi, invece, sono due concetti integrati: per la frollatura, il pesce deve comunque essere freschissimo. Eliminato il sangue, va messo in cella a 1.7/1.8 gradi, bilanciando l'umidità che può variare dal 60 all’80 per cento».

Per i salumi di pesce, i tempi si allungano ancora, fino a triplicare: «Attualmente stiamo facendo stagionature di quaranta giorni, sperimentandone di più lunghe ancora. Prosciutti e bresaole di pesce sono lavorazioni complesse, dove il pesce deve essere posto in marinatura e perdere ogni residuo d'acqua. Poi li si lavora con erbe, spezie o agrumi, che sono gli elementi in grado di conferire spinta e identità: la maturazione parte con un’umidità dell’85% circa che, progressivamente, si riduce di un ulteriore 20%. Per il salame ittico, si opera diversamente, tritando la polpa e lavorandola con spezie, sali e zucchero. Poi si lascia il composto in frigo per un giorno, procedendo poi a insaccarlo».
Il risultato? Né carne né pesce, diranno i detrattori.