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Carne di bisonte e polenta di mais blu, la cucina dei nativi americani

Wahpepah's Kitchen stufato di Bisonte
Wahpepah's Kitchen stufato di Bisonte 
Crystal Wahpepah e il suo ristorante: un lungo percorso attraverso la cultura dei suoi avi che ha portato la cuoca ad aprire il locale in California dove trovano casa sapori antichi
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Crystal Wahpepah si è avvicinata ai fornelli da bambina grazie a sua madre e sua nonna, e da lì ha sviluppato un grande amore per la cucina che l’ha portata ad aprire prima un servizio di catering, e poi un ristorante in California, ad Oakland. Dietro il suo locale e il suo lavoro, però, c’è una vera missione, quella di far conoscere i piatti e gli ingredienti della sua comunità a tante persone. Crystal infatti è una cuoca nativa americana dell’Oklahoma, appartenente alla tribù dei Kickapoo da parte di nonno, e dei Sac e Fox da parte di nonna. Quando ha iniziato a fare catering 12 anni fa era molto raro trovare chef indigeni o ristoranti indigeni, ma da allora la sua attività è cresciuta molto, Wahpepah è riuscita a diffondere la sua cultura ed è arrivata a preparare i suoi piatti anche per giganti della Silicon Valley come Google, Facebook e Twitter. E proprio in questi giorni, ha aperto ufficialmente il suo ristorante, Wahpepah's Kitchen.

Nelle sue ricette c'è molta carne di bisonte, ma anche chicchi di mais, fagioli, noci, erbe e centinaia di altri prodotti, la maggior parte dei quali vengono esclusivamente da agricoltori indigeni che Crystal ha cercato in tutto il paese. I quadri alle pareti del ristorante ritraggono la famiglia che ha realizzato il suo sogno e il menu onora la sua infanzia e le diverse tribù, proponendo piatti tradizionali che la maggior parte dei nativi riconosce, ma probabilmente non ha mai visto in un ristorante. Tra i cavalli di battaglia della chef ci sono polpette di bisonte con salsa di mirtilli, zuppa di mais (che unisce mais fresco, fagioli e zucca, conosciuti anche come le tre sorelle, un trio considerato sacro per molti indigeni) e ancora uovo d'anatra e polpette di riso selvatico, polenta di mais blu e carote in pipian (salsa originariamente a base di semi di zucca autoctoni e peperoncini). Sul dessert, invece, va forte il budino al cioccolato e zucca. E per concludere, tè al sambuco. Anche prima di aprire il ristorante, sia che lavorasse per i big della Silicon Valley o per i membri della sua comunità, la chef riceveva tante domande sulla sua origine o sulle tribù da cui proveniva, ma si è resa conto di non possedere tutte le risposte: “Molto ha avuto a che fare con traumi storici e spostamenti, in particolare dei nostri cibi”, ha spiegato. Così, ha deciso di partire per l’Oklahoma, dove ha potuto parlare con agricoltori nativi e custodi di semi di tutto il paese, imparando molto sugli ingredienti autoctoni e sulla loro storia.

 Crystal Wahpepah
 Crystal Wahpepah 

Poi è entrata a far parte della Food Sovereignty Alliance, recandosi ai summit del food dove si riunivano chef e agricoltori nativi. “Abbiamo così tanti semi, volevo saperne di più - ha raccontato -, scoprire come vengono portati, come e dove vengono conservati, come crescono se non sono della zona”. Ora, è pronta per accogliere i clienti al Wahpepah's Kitchen, e spera attraverso il cibo di introdurre sempre più  persone alla sua cultura: “Alla fine questo è quello che voglio, rendere la gente consapevole, o magari anche solo fargli capire su quale terreno si trovano”.

“I nativi americani sono dimenticati, e quindi il mio lavoro è rendere tutti consapevoli di quanto siano buoni i nostri cibi - ha proseguito - Ognuno ha il suo lavoro, il mio è cucinare fantastici ingredienti nativi”. La sua regola è di non lavorare mai con prodotti con cui non è cresciuta: “C’è la mia tribù da onorare, ovviamente. Siamo situati sulla terra di Ohlone, e ci sono le ghiande. Quando abbiamo il salmone affumicato, stiamo onorando la tribù Pomo, che è al nord, di cui fanno parte i miei figli, ma anche altri membri della famiglia”. Con il suo locale spera anche di ispirare altri chef indigeni a seguire il suo esempio: “Voglio che sappiano che se l’ho fatto io, possono farlo anche loro”.