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Dal cioccolato siciliano ai taralli pugliesi, i detenuti diventano artigiani del gusto

I ragazzi della Banda Biscotti (foto tratta dal sito Freedhome)
I ragazzi della Banda Biscotti (foto tratta dal sito Freedhome) 
In sempre più prigioni italiane si realizzano eccellenze alimentari. E ora uno shop online permette a tutti di comprare i prodotti di chi, dietro le sbarre, è diventato pasticciere o fornaio
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I nomi sono da Oscar del marketing. “Dolci Evasioni”, "Libera Mensa”, “Semi di Libertà”, “Banda Biscotti”, “Pezzi di Pane”, ma anche “Buoni Dentro”, “Sprigioniamo Sapori”, “Dolci Libertà” e le Cene Galeotte nel ristorante “Mille Sbarre”. Dietro i nomi, un elenco in crescita costante di carceri, dove la detenzione smette di essere pena fine a se stessa – con il suo carico di sofferenza buia, senza luce alla fine del tunnel –  per aderire all’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Chiunque abbia mai varcato la soglia di una casa di reclusione, sa quanto entrambe le prescrizioni siano troppo spesso ignorate e calpestate. Eppure, i dati parlano da soli: su cento detenuti incarcerati a vario titolo, oltre il 70% una volta libero torna a delinquere, mentre tra quelli che hanno imparato un’attività la percentuale di recidiva precipita abbondantemente sotto il 20%.

Così, negli anni, uomini e donne di buona volontà, con l’indispensabile ausilio dei direttori delle carceri, hanno attivato progetti di rieducazione e inclusione, che sempre più spesso passano dalla produzione di cibo. E se un tempo i manufatti degli ergastolani di Porto Azzurro o dell’Asinara erano testimonianze tristi di una condizione senza salvezza, oggi le produzioni dei laboratori interni alle case circondariali sono fucine di libertà creativa, con un debole per l’agroalimentare.
Dicono che l’impegno sia inversamente proporzionale all’entità della pena. Quando Maria Grazia Giampiccolo, vulcanica direttrice del carcere di massima sicurezza di Volterra, ha dato il via alle bellissime cene nel suggestivo cortile della Fortezza Medicea, gli apprendisti cuochi e camerieri più entusiasti sono stati i condannati a vita, “l’unica possibilità di non impazzire”.

Ma la “seconda possibilità” allarga i suoi confini, anche perché lavorare significa guadagnare, contribuire al sostentamento della famiglia fuori dal carcere, essere perfino orgogliosi del proprio mestiere. La foto dei pasticceri del carcere di Padova – laboratorio “Giotto” -  il cui panettone è considerato tra i migliori d’Italia, è una sequenza di sorrisi di speranza. Allo stesso modo, “Made in Carcere”, nato recuperando e trasformando scarti di tessuti nella sezione femminile del carcere di Lecce, oggi si cimenta nella produzione di squisiti biscotti vegani su ricetta segreta della sua fondatrice, l’ex manager bancaria Luciana Delle Donne.

Sono proprio gli attori più sensibili della società civile a supportare e istruire: cuochi e manager, fornai e mastri gelatieri, ma anche mulini e allevatori per le materie prime. Due i comandamenti: qualità alta e professionalità. Non devono esserci sconti, nella valutazione: si sta sul mercato perchè si è bravi, non per carità pelosa. Pani da grani antichi e biologici, impastati con lievito madre, preziosi caffè torrefatti secondo la migliore tradizione italiana, formaggi lavorati con perizia certosina.
Luciana Delle Donne
Luciana Delle Donne 
Il livello è così alto e la competizione nel circuito carcerario così felicemente serrata che nel centro storico di Torino poche settimane fa è nato “FREEDHOME – creativi dentro”, il primo concept-store con shop online dedicato alle eccellenze dell’economia carceraria italiana. Vi troverete le paste di mandorla del carcere di Siracusa e il tè verde Sencha delle detenute di Pozzuoli, i latticini della sezione femminile di Rebibbia e i taralli del carcere di Trani.