LONDRA – Basta aprire l’armadio di un adolescente occidentale odierno per capire che il mondo produce e acquista troppi vestiti. Consumismo, globalizzazione e libero commercio hanno reso l’abbigliamento così poco costoso da coniare un nuovo termine per definire quello prediletto dai giovanissimi: fast fashion, moda veloce, nel senso che dura poco e si può buttare via quando ci si stanca di indossarla senza pensarci troppo.
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Ma il fenomeno ha creato sempre più rifiuti tessili, sempre più difficili da riciclare perché molti capi di vestiario sono confezionati usando un misto di tessuti naturali e sintetici. Un recente rapporto rivela per esempio che 780 mila tonnellate di rifiuti tessili finiscono nei cassonetti dell’immondizia ogni anno in Australia, ed è verosimile che un ammontare analogo faccia la stessa fine in Nord America e in Europa.
Proprio dalla terra dei canguri arriva ora una possibile soluzione: una startup australiana ha messo a punto un sistema per riciclare tessuti in materiale grezzo da riutilizzare, separando il naturale dal sintetico grazie a nuove tecnologie sviluppate dalla Queensland University. BlockTexx, questo il nome della società, ha ottenuto un investimento iniziale di 5 milioni di dollari per costruire un primo stabilimento nelle vicinanze di Brisbane: “Abbiamo abbastanza risorse e richieste per cominciare e poi espanderci” dicono al Guardian i suoi fondatori, Graham Ross e Adrian Jones, entrambi veterani dell’industria dell’abbigliamento.
L’iniziativa potrebbe rappresentare una svolta in un settore che ha sempre avuto problemi a riciclare rifiuti: i sistemi utilizzati finora offrono benefici trascurabili, osserva il quotidiano britannico, e possono addirittura essere dannosi per l’ambiente. Il procedimento applicato da BlockTexx, chiamato “separazione della tecnologia tessile”, è degno di nota perché riesce a intervenire sui materiali ibridi.
Il piano della startup australiana è di riciclare circa 10 mila tonnellate l’anno entro la fine del 2022, concentrandosi inizialmente sui tessuti commerciali, come vecchi asciugamani e lenzuola di alberghi e ospedali, per poi ampliare il campo a ogni tipo di tessili. Gli esperti ritengono che possa essere una risposta al “fast fashion” e agli armadi strapieni dei teenager d’oggi.