Gli Usa stanno trattando un accordo miliardario con il Brasile per tentare di arginare il disastro in Amazzonia. Una serie di riunioni settimanali si sta tenendo da un po’ di tempo tra esperti della materia americani e i loro referenti del paese guidato da Jair Bolsonaro. Non sono riunioni ufficiali. Per il momento di tratta di contatti preliminari duranti i quali si tasta il terreno e soprattutto si valutano le disponibilità del Brasile ad accogliere le condizioni poste per garantire un reale impegno ambientale. Nei colloqui sono coinvolti anche ministri e ambasciatori britannici e di altri paesi della zona Eu. La notizia è confermata da un folto gruppo di tribù indigene, da ambientalisti e attivisti sociali preoccupati che siano il preambolo di un accordo più vasto che l’amministrazione Biden vuole comunque raggiungere con il Brasile.
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Il problema sono gli interlocutori. La trattativa, e i dialoghi, sono tenuti in prima persona dal ministro dell’Ambiente Ricardo Salles che gode della massima fiducia di Bolsonaro, ma solleva molte perplessità tra chi ha avuto a che fare con lui e conosce soprattutto le sue politiche ambientali. Nominato nel gennaio del 2018 alla guida dell’Ambiente, l’avvocato ed economista di estrema destra ha supervisionato la peggiore deforestazione dell’ultimo decennio. E’ legato al settore dell’agrobusiness che ha difeso in diverse occasioni, è stato condannato per illeciti amministrativi su atti legati all’ambiente, è stato l’artefice dello smantellamento dell’Ibama, l’Istituto che gestisce e controlla l’attività all’interno dell’Amazzonia brasiliana.
Salles ha colto al volo l’occasione dei colloqui per formulare subito la sua controproposta: chiede un miliardo di dollari ogni 12 mesi e si impegna, così assicura, a ridurre del 30-40% il disboscamento della foresta. Chiede soldi perché il Brasile non è in grado di raggiungere questi obiettivi senza finanziamenti. La realtà è che solo un terzo di questo miliardo all’anno sarebbe destinato alla protezione della foresta pluviale. Il resto verrebbe invece speso per “lo sviluppo economico” alla popolazione che dipende dal disboscamento, dall’estrazione mineraria, dall’agricoltura, dall’allevamento. Andrebbe cioè esattamente a quei gruppi di persone che sono i principali responsabili del gravissimo squilibrio ambientale in Amazzonia: garimpeiros, cercatori d’oro illegali, accaparratori di terre, allevatori di mandrie, fino all’esercito di mercenari e avventurieri al soldo di chi ha bisogno di terre per coltivazioni intensive e pascoli per le mucche.
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Martedì, ricorda il Guardian che dedica un ampio servizio al tema, un gruppo di 199 esperti e attivisti della società civile ha sottoscritto una lettera resa pubblica indirizzata all’amministrazione Usa. In essa ricordano che qualsiasi accordo con il governo brasiliano equivarrebbe a una resa nella battaglia per l’equilibrio ambientale. “Non è ragionevole”, scrivono i firmatari, “aspettarsi che delle soluzioni per l’Amazzonia e i suoi popoli arrivino da negoziati svolti a porte chiuse con il tuo peggior avversario. Il governo Bolsonaro cerca a tutti i costi di legalizzare lo sfruttamento della grande foresta pluviale causando danni irreversibili ai nostri territori, ai popoli e alla vita sul Pianeta”.
Gli scienziati ricordano che l’Amazzonia è al centro delle preoccupazioni mondiali. Dalla lei e dal suo stato di salute dipendono la stabilità del clima, l’aumento del calore sulla terra, il conseguente scioglimento dei ghiacci ai Poli e sulle vette del mondo. “L’attività dell’uomo”, aggiungono, “sta trasformando la regione in una fonte, piuttosto che in un pozzo, di carbonio atmosferico. Alcune aree sono vicine al punto di non ritorno: la foresta si restringe, si secca e si trasforma in modo irreversibile in una savana”.
Pochi ricordano che proprio il disboscamento selvaggio ha portato il Covid tra la gente: più si taglia, più ci si addentra nella foresta, più vengono rilasciati i virus che ci vivono da secoli. Tramite i pipistrelli che, come portatori sani, emigrano verso altre zone abitate, si nutrono di frutta i cui resti, infettati, cadono a terra dagli alberi, sono mangiati da maiali e mucche e da qui si trasferiscono all’uomo nel “salto di specie”. Lo spillover descritto efficacemente nel libro di David Quammen.
Gli incontri preludono a una serie di conferenze mondiali sull’ambiente. Joe Biden ha indetto un vertice sul clima a Washington il prossimo 22 aprile. Si è impegnato con 20 miliardi per le foreste pluviali tropicali durante la sua campagna elettorale e lo ha confermato una volta eletto alla presidenza Usa. Nel corso di quest’anno la Gran Bretagna ospiterà a Glasgow la Cop26, la più importante conferenza sul clima dopo quella di Parigi. I leader mondiali dovrebbero nel frattempo incontrarsi a Kunming, in Cina, per fissare gli obiettivi di biodiversità per i prossimi dieci anni.
Biden conosce bene le posizioni di Bolsonaro sul tema ambiente. Ma sa anche che per raggiungere certi obiettivi sull’Amazzonia deve parlare con i suoi ministri. E il ministro dell’Ambiente brasiliano è Ricardo Salles. Le tribù indigene, relegate ai margini su un problema che segna il loro futuro e destino, chiedono di essere coinvolte. Lasciarle da parte, anche in questa fase preliminare, significherebbe avallare ciò che vuole proprio Salles su indicazione di Bolsonaro.