Lo sentiamo ripetere ormai in tutte le salse: dobbiamo abbandonare il modello di sviluppo lineare - magari mettendo in discussione lo stesso concetto di sviluppo - per aderire ad un nuovo paradigma in cui ogni fine porta un nuovo inizio. Il simbolo dell'imperante modello lineare è la discarica, luogo del destino per i beni prodotti. Anche le discariche, però, possono in qualche modo tendere verso un modello di economia circolare. Un esempio sono le discariche esaurite - cioè arrivata anch'esse, come gli oggetti che accolgono, alla fine della loro vita - cui si assegna una nuova funzione, quella di generare elettricità. Destinare quegli enormi spazi, già marginalizzati dalla loro funzione di deposito di rifiuti, alla produzione di energia rinnovabile vuol dire non arrendersi al destino di quelle terre offese e provare a rigenerarle grazie ad energy farm fotovoltaiche.

Finora "solarizzare" una discarica è una pratica usata soprattutto negli Stati Uniti, in Europa, in Giappone. In Europa possiamo citare la discarica di Manosque, in Francia, che dal 2009 ospita un parco solare con 54.600 pannelli da 4 megawatt totali. O quella nel sud ovest della Germania, a Heckfeld: oltre 23 mila pannelli e 1,9 megawatt su una vecchia discarica di rifiuti edili. A Gloucester, 170 km a ovest di Londra, nel sito di una ex discarica, sta per nascere quello che viene definito un ecoparco con pannelli solari, un generatore da biomassa e un impianto di compostaggio. In Europa, secondo uno studio di qualche anno fa di alcuni ricercatori del Joint Research Centre di Ispra, la rigenerazione solare delle grandi discariche potrebbe portare ad avere 13 nuovi gigawatt solari installati.
E in Italia? A Malagrotta, Roma, dal 2008 un impianto con pannelli solari - in parte tradizionali in parte flessibili a film sottile fissati direttamente sulla copertura della discarica, senza strutture di sostegno - fornisce circa 1,4 gigawattora l'anno. Dal 2012 l'ex discarica di Padernello di Paese (Treviso) produce energia grazie ad un impianto da 1 megawatt: 10 mila metri quadri di moduli fotovoltaici flessibili applicati con sistema a velcro sulla membrana in gomma usata come copertura della discarica.

"Lo sviluppo delle fonti rinnovabili non ha solo un valore climatico ed energetico - spiega Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente - ma rappresenta anche un'occasione per riqualificare pezzi di territorio che negli anni passati sono stati utilizzati per sopperire ad altre esigenze e che oggi risultano però non più utilizzabili per altri scopi, come le ex cave, le aree marginali o le ex discariche".

L'elenco, non esaustivo, può andare avanti coi 2 megawatt nella discarica di Novellara, nel reggiano, che stanno per essere affiancati da un ulteriore impianto; o col gigawattora l'anno prodotto dai 3 mila pannelli della discarica Barricalla, nel comune di Collegno, Torino. Oppure le discariche toscane di Sinalunga, Poggibonsi, Monticiano, Asciano, con 1 gigawatt totale installato. Poi c'è il caso dell'ex discarica di Castel Maggiore (BO), oggetto di una richiesta di riapertura: la sindaca ha scritto alla Regione segnalando la forte contrarietà della cittadinanza, e grazie ad una campagna di crowdfunding è stato presentato uno studio di fattibilità per la realizzazione di un impianto fotovoltaico da 5 megawatt di potenza.

E questo sembra essere solo l'inizio. A novembre dell'anno scorso Legambiente Emilia-Romagna ha proposto di installare impianti fotovoltaici sulle superfici delle discariche regionali non più in uso: "Sono oltre 50 quelle ad oggi dismesse in Emilia-Romagna" spiega l'associazione: "Secondo le nostre stime prudenziali, le superfici disponibili sono di almeno 4 milioni di metri quadri, con una potenza stimabile attorno ai 60 megawatt". Una proposta che potrebbe farsi strada: a gennaio il Consiglio regionale ha approvato una risoluzione - presentata dalla consigliera Verde Silvia Zamboni, con Igor Taruffi (Emilia-Romagna Coraggiosa) e Silvia Piccinini (M5S) - che impegna la Giunta a sostenere appunto installazioni solari dove una volta si scaricavano rifiuti.
Ustica: dove c’era una discarica, ora c’è un’eco-discoteca

"Nei prossimi anni dovremmo arrivare a installare almeno 5 GW di fonti energetiche rinnovabili all'anno - sottolinea Eroe - e questo deve costringere tutti, amministrazioni comunali comprese, a pensare e ripensare a quali spazi possano essere utilizzati, dando sicuramente priorità a quei luoghi in cui agire in termini di rigenerazione". Peraltro, col decreto Semplificazioni dell'anno scorso, anche questi impianti possono finalmente accedere agli incentivi.
Ma la nuova vita di una discarica non passa solo per l'energia del sole. Un caso eclatante, per il mix di luci e ombre, è quello dell'ex Resit di Giugliano, 10 chilometri a nord di Napoli. Simbolo del malaffare dei Casalesi (la Cassazione ha recentemente confermato la condanna a 18 anni di carcere per l'imprenditore dei rifiuti Cipriano Chianese, responsabile del disastro ambientale della discarica) e cuore della tristemente nota Terra dei fuochi, è diventata un parco naturalistico. Spiega uno dei progettisti, Fabrizio Cembalo: "Con vegetazione e arbusti abbiamo ricostruito sulla sommità del sito il paesaggio della piana campana, restituendo quel territorio, una sorta di osservatorio sulla piana, alla cittadinanza".
Il parco è stato voluto dall'ex commissario alle bonifiche Mario De Biase: "De Biase non si rassegnava al fatto che quel sito degradato rimanesse tale. Voleva farne un monumento, per ricordare alla popolazione che quello che era un sito degradato può essere riqualificato in un simbolo di riscatto", racconta Massimo Fagnano, docente di agronomia ed ecologia agraria all'Università Federico II di Napoli. C'è Fagnano, ad esempio, dietro la scelta di usare come tappeto erboso per il parco la gramigna, specie molto resistente all'aridità perché d'estate vegeta e non secca come l'erba spontanea, ed ha per questo un basso indice infiammabilità. Indice importante, sottolinea il professore, visto che "dare fuoco alle discariche è uno sport nazionale da queste parti". La realizzazione di parchi sulle discariche, spiega, "è anche fondamentale perché modifica la percezione da parte dei cittadini del sito che da simbolo di degrado, di rischi per la salute, di bruttezza può essere trasformato in simbolo di rinascita e di bellezza che restituisce la sua dignità a tali paesaggi". Proprio l'uso della vegetazione "può fornire anche servizi ecosistemici culturali, estetici, ricreativi ed educativi, che rappresentano il principale disincentivo verso la diffusione del degrado".
Purtroppo questo disincentivo nel caso del parco Resit - sul quale dopo la conclusione della gestione commissariale è piombato un incredibile vuoto di gestione - non è stato sufficiente: negli ultimi mesi, infatti si sono susseguiti, lì e in siti e strutture vicine, decine di gravi atti di vandalismo. "Mentre altrove - commenta amaro Francesco Pascale, del locale circolo di Legambiente - per riqualificare aree inquinate si creano occasioni di riscatto, posti di lavoro e si valorizzano i territori, qui si dà invece spazio alla criminalità comune che ha vandalizzato quello fatto negli ultimi anni. Oltre al danno la beffa".