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La Russia ha una foresta grande due volte l'India. E vuole usarla per i crediti di carbonio

(foto: Ekaterina Anisimova / Afp via Getty Images)
(foto: Ekaterina Anisimova / Afp via Getty Images) 
L'enorme area boschiva con i suoi 640 miliardi di alberi servirebbe per creare un mercato di ''carbon credits'' da vendere alle aziende che vogliano abbattere artificiosamente le proprie emissioni
2 minuti di lettura

Quanti alberi ha la Russia? Seicentoquaranta miliardi, secondo la stima più recente. La maggior parte di essi sono concentrati nell’Est estremo del Paese, in una immensa area boschiva che da sola copre una superficie pari a due volte quella dell’India. Un colossale patrimonio verde che ora Mosca vuole far fruttare. Ecco perché il Cremlino ha varato un piano per monitorare in tempo reale, con satelliti e droni la capacità delle sue foreste di assorbire la CO2, per poi creare un mercato di crediti di carbonio da vendere ad aziende, interne ed estere, che vogliano abbattere artificiosamente (comprando appunto crediti) le proprie emissioni.

Il progetto che le imprese potrebbero investire nella semina di nuovi alberi e nella protezione quelli esistenti, affittando tali aree forestali dal governo. Le società potrebbero quindi creare crediti di carbonio da scambiare su una piattaforma digitale, dopo che è stato confermato che l'investimento ha effettivamente migliorato l'assorbimento di CO2.

Un calcolo governativo, relativo ai dati del 2018, valuterebbe intorno alle 640 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti la capacità di assorbimento dei 640 miliardi di alberi russi, praticamente il 38% di quanto il Paese emette in un anno. “Deteniamo il 20% delle foreste mondiali e la comunità internazionale non può non tenerne conto”, ha detto pochi giorni fa Alexey Tschekunkov, ministro russo per la Crescita dell’Estremo Est e dell’Artico, non senza un accenno polemico.

La Russia infatti è accusata di avere ambizioni climatiche molto limitate, rispetto agli impegni degli Accordi di Parigi, pur essendo uno dei principali inquinatori e anche tra i più importanti produttori di combustibili fossili. Il sito Climate Action Tracker, che dà le pagelle a tutte le nazioni, classifica come “gravemente insufficienti” gli sforzi di Mosca, ampiamente al di sotto degli obiettivi che si sono dati gli altri grandi: dimezzare le emissioni entro il prossimo decennio e azzerarle entro il 2050.

Il sospetto è che la Russia non voglia affrontare la sfida tecnologica di una riconversione green della propria economia e preferisca imboccare la scorciatoia della riforestazione e dei crediti di carbonio. Una strategia che alcune organizzazioni criticano aspramente, chiunque la attui: “E’ come se per evitare l’affondamento del Titanic che colava a picco avessero iniziato a sposare le sedie da poppa a prua”. E non è un caso che al progetto si siano dette interessate il colosso del gas Gazprom Neft, la Sibur Holding con il suo braccio petrolchimico PAO, il gruppo Sinara che produce macchinari.

Secondo altri, il progetto di monetizzare la superforesta orientale sarebbe invece un tentativo di Mosca di limitare i danni della tassa di confine sulla CO2 che l’Unione europea potrebbe varare entro il 2023, per scoraggiare l’importazione dentro la Ue di merci prodotte e trasportate con grandi emissioni di carbonio. Alla Russia una tassa del genere potrebbe costare 8 miliardi di dollari l’anno. La salveranno i suoi 640 miliardi di alberi?