Ce lo insegnano a scuola: le piante, “respirando” tramite la fotosintesi clorofilliana, assorbono anidride carbonica dall’ambiente circostante e vi rilasciano ossigeno. Ed è (anche) per questo che sono fondamentali per la salute del nostro pianeta, dal momento che ci aiutano a ripulire l’atmosfera dall’anidride carbonica, uno dei principali gas serra responsabili del riscaldamento globale. Un meccanismo che fino a qualche anno fa sembrava funzionare discretamente: nel 2016 gli scienziati avevano infatti notato che, in conseguenza alla crescita delle emissioni di anidride carbonica da sfruttamento di combustibili fossili, l’attività fotosintetica terrestre delle piante era notevolmente aumentata nel decennio 2004-2014, mantenendo più o meno costante il tasso di anidride carbonica nell’atmosfera, pari a circa 1,9 parti per milione l’anno.

Peccato, però, che le ultime notizie siano di altro tenore: l’effetto di aspirazione di CO2 dall’atmosfera da parte delle piante sta diminuendo molto velocemente, più di quanto non avessero previsto i modelli teorici. Il che vuol dire che dobbiamo impegnarci ancora di più a tagliare le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera, agendo più velocemente che possiamo. A scoprirlo, e raccontarlo sulle pagine della prestigiosa rivista Science, è stata un’équipe di scienziati della Nanjing University, in Cina, e di altri enti di ricerca di tutto il mondo. In particolare, i ricercatori hanno notato che il cosiddetto “effetto di fertilizzazione di CO2” (CO2 fertilization effect, o Cfe) sta diventando progressivamente meno efficiente per l’86% circa degli ecosistemi vegetali del nostro pianeta.
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Per scoprirlo, hanno incrociato i dati della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera con quelli delle rilevazioni satellitari fornite dalla Nasa: “Nello studio, analizzando i migliori dati disponibili provenienti dal monitoraggio remoto e dai modelli che descrivono la struttura degli ecosistemi terrestri”, ha spiegato Ben Poulter, coautore del lavoro e scienziato al Goddard Flight Space Center dell’agenzia spaziale statunitense, “abbiamo notato che dal 1982 l’efficienza media del Cfe è passata dal 21% al 12% per 100 parti per milione di anidride carbonica nell’amosfera. In altre parole, gli ecosistemi terrestri stanno diventando sempre meno affidabili come mitigatori temporanei del cambiamento climatico”.

Di chi è la colpa? Al momento non si hanno certezze, ma solo ipotesi. Secondo quella considerata più attendibile, la ragione del fenomeno starebbe nel fatto che in un primo momento le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera hanno accelerato la crescita delle piante e dunque il loro assorbimento fotosintetico; successivamente questo aumento però non è stato “sostenuto” da una crescita degli altri nutrienti necessari a innescare la fotosintesi e quindi l’intero processo è diventato via via meno efficiente.
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“Secondo i nostri dati”, spiega Poulter, “sembra che le piante stiano soffrendo, contemporaneamente, di una carenza di nutrienti e di umidità. Nelle zone tropicali spesso non ci sono abbastanza azoto o fosforo per sostenere la fotosintesi, mentre nelle regioni temperate ad alta latitudine l’umidità del suolo è cambiata a causa dell’aumento delle temperature”. Un cane che si morde la coda, insomma: il cambiamento climatico sta limitando la capacità delle piante di limitare il cambiamento climatico. Un circolo vizioso che dovremmo interrompere al più presto.