Visionari, pragmatici e radicali. Nella danese Seaborg Technologies si descrivono così. E in effetti stanno facendo qualcosa che non ha molti precedenti: sviluppare una nuova tipologia di mini reattore nucleare da 200 megawatt da istallare su traghetti che poi verranno piazzati lungo la costa in base al fabbisogno energetico della terraferma. O almeno questo sarebbe il loro piano. L'orizzonte temporale è il 2025, i finanziamenti raccolti, solo all'ultimo round, sono stati invece circa 20 milioni di euro.
"Siamo partiti dalla certezza che non si possa fare a meno del nucleare", racconta al telefono Troels Schönfeldt da Copenaghen, amministratore delegato e cofondatore della compagnia nata nel 2014, guardando all'eredità di Glenn Theodore Seaborg, Nobel nel 1951, considerato uno dei padri dell'energia atomica per uso civile. "In molte aree del mondo non c'è vento a sufficienza per l'eolico né abbastanza giorni di sole per il solare. E così l'unica cosa che si può usare ora sono i combustibili fossili rendendo ancor più critica la condizione del Pianeta. Il nucleare infatti attualmente è troppo caro e rischioso. Per questo stiamo lavorando invece avere qualcosa di sicuro e relativamente economico".
L'International Energy Agency (Iea) sembra dargli ragione. Sostiene che la richiesta di elettricità, con l'aumento della popolazione e i maggiori livelli di ricchezza, è destinata a superare la produzione di energia rinnovabile rendendo la dipendenza dai combustibili fossili più alta di quella di oggi. Il progetto della Seaborg Technologies sembrerebbe quindi avere un suo senso, se non fosse che una parte di quelle nazioni che hanno un gran fabbisogno di energia, come quelle del sud-est asiatico, sono vittime di catastrofi naturali sempre più frequenti, dagli tsunami ai cicloni.
La Seaborg punta sulla tecnologia a sale fuso, compact molten salt reactor (Cmsr), messa a punto negli anni Sessanta e poi abbandonata per problemi legati alla corrosività del materiale. All'Oak Ridge National Laboratory negli Stati Uniti misero comunque a punto un reattore sperimentale che ha funzionato per quattro anni. I dati raccolti in quell'occasione sono quelli che adesso stanno usando tutti coloro che vorrebbero dare una seconda chance a questo metodo, dalla Cina agli Usa fino all'Europa. Questo perché rispetto al passato oggi dovremmo infatti essere in grado di controllare la corrosione dei sali fusi con mezzo secolo in più di ricerca alle spalle.
"Una centrale del genere non può esplodere, non può rilasciare gas radioattivi pericolosi nell'aria o nell'acqua e non può essere utilizzato per armi nucleari", sottolinea Schönfeldt. In più, secondo la sua azienda, questi mini reattori in fatto di emissioni di carbonio avrebbero la stessa impronta di un impianto eolico e il costo paragonabile a quello di una struttura tradizionale che usa combustibili fossili.
"La cosa più importante per la sicurezza sta nell'uso stesso del sale", spiega Luca Silvioli, chimico di 28 anni originario di Bresca, in forza alla Seaborg da un anno e mezzo. "Nulla riesce a dissolvere e ad assorbire l'uranio al suo interno altrettanto bene. Per questo in caso di incidente non ci sarebbero fuoriuscite di gas come Chernobyl, ma una roccia di sale radioattivo. Un problema da gestire, certo, ma di ordine molto minore perché non si dissolve in acqua. E poi è una tecnologia difficile da trasformare per uso bellico, dunque potrebbe essere usata in diverse aree del pianeta senza destare preoccupazione che diventi un'arma".