GERUSALEMME – Ogni ora della giornata, 1300 ettari di terra coltivabile diventano inutilizzabili a causa della desertificazione e della siccità, per un danno economico che ammonta a 42 miliardi di dollari l’anno. È uno dei dati sconvolgenti su si è discusso durante la Conferenza internazionale sulle terre aride, i deserti e la desertificazione (DDD) che si è tenuta a novembre e promossa dall’Istituto Jacob Blaustein per la Ricerca del Deserto dell’Università di Ben Gurion, in coordinamento con la Convenzione contro la desertificazione dell’Onu (UNCCD). La sua settima edizione, in versione virtuale come da protocollo Covid, ha richiamato ancora una volta la comunità scientifica e tutti quanti hanno la lungimiranza di capire che la sfida della desertificazione impatta l’intero globo e va affrontata a partire da ieri.
Una sfida che non conosce confini. La connessione tra cambiamenti climatici e fenomeni migratori, la diffusione di nuove malattie, la necessità di intraprendere azioni decisive verso soluzioni agricole sostenibili, oltre alla presentazione delle ricerche più innovative nel settore, sono state al centro della tre giorni che ha visto la partecipazione di oltre 2000 iscritti da 108 Paesi, tra cui anche il nuovo alleato israeliano, gli Emirati Arabi Uniti, e l’acerrimo rivale, l’Iran.
Uno degli argomenti affrontati ha riguardato proprio la connessione tra pandemia e desertificazione. “Il degrado della terra ha un chiaro impatto su tutti gli ecosistemi naturali” dice il professor Shimon Rachmilevitch, presidente della conferenza. “Gli animali lasciano i propri habitat naturali e si spostano verso realtà urbanizzate, portando gli umani ad essere esposti a nuovi e diversi organismi, come il Covid-19”.
La sfida n. 1: la razionalizzazione delle risorse idriche. “Stiamo vivendo un’era drammatica” dice a Green&Blue Aaron Fait, originario di Bolzano, da quasi trent’anni in Israele, professore di biochimica vegetale all’Istituto Blaunstein, con una specializzazione nella viticultura in zone climatiche estreme. “Lo sfruttamento delle aree destinate alla produzione agricola ha raggiunto la saturazione. Lo spreco idrico nell’irrigazione è insostenibile: per un’arancia che mangiamo, vengono utilizzati in media 50 litri d’acqua!”
Tra i wadi del deserto roccioso del Negev nei pressi del Kibbutz Sde Boker - il luogo che il fondatore dello Stato, David Ben Gurion, negli anni ’60 scelse come casa per dare corpo al suo motto “fare fiorire il deserto” - l’Istituto Blaunstein è considerato un’eccellenza mondiale nella ricerca per contrastare siccità e aridità. Tanto che qui la desertificazione è un fenomeno sotto controllo, proprio per via dell’investimento in tecnologie mirate alla coltivazione dei terreni aridi e al risparmio idrico. Tra queste dune è stata inventata l’irrigazione a goccia negli anni ’60, e Israele oggi è “il primo Paese al mondo per l’utilizzo di acque riciclate e desalinizzate: costituiscono il 70% del totale delle risorse idriche utilizzate nell’agricoltura” ci dice il professor Fait. Non lontano da qui, nel Centro R&D Aravà, viene prodotto il 70% dell’agricoltura israeliana destinata ad esportazione.
Una minaccia che ci riguarda sempre più da vicino. Sono sfide che riguardano anche l’Italia: il Cnr riporta il continuo aumento di aree nel Sud del Paese in cui la sostanza organica nel suolo raggiunge un allarmante 2%, come ha ricordato nel suo saluto introduttivo l’Ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti, che da anni testimonia il sostegno del nostro Paese alla conferenza DDD.
Secondo i ricercatori, è questione di un paio di decenni perché anche il Sud dell’Europa si trovi faccia a faccia con il fenomeno della desertificazione. Per questo c’è molta attenzione verso l’esperienza israeliana. Nel suo ambito, Fait ha avviato svariate cooperazioni con atenei europei, tra cui l’Università di Udine e persino viticoltori da Bordeaux guardano al Negev, dove, nonostante le condizioni climatiche sfavorevoli, negli ultimi 15 anni sono nate ben 20 aziende vinicole di successo.
Una sfida che non conosce confini. La connessione tra cambiamenti climatici e fenomeni migratori, la diffusione di nuove malattie, la necessità di intraprendere azioni decisive verso soluzioni agricole sostenibili, oltre alla presentazione delle ricerche più innovative nel settore, sono state al centro della tre giorni che ha visto la partecipazione di oltre 2000 iscritti da 108 Paesi, tra cui anche il nuovo alleato israeliano, gli Emirati Arabi Uniti, e l’acerrimo rivale, l’Iran.
Uno degli argomenti affrontati ha riguardato proprio la connessione tra pandemia e desertificazione. “Il degrado della terra ha un chiaro impatto su tutti gli ecosistemi naturali” dice il professor Shimon Rachmilevitch, presidente della conferenza. “Gli animali lasciano i propri habitat naturali e si spostano verso realtà urbanizzate, portando gli umani ad essere esposti a nuovi e diversi organismi, come il Covid-19”.
La sfida n. 1: la razionalizzazione delle risorse idriche. “Stiamo vivendo un’era drammatica” dice a Green&Blue Aaron Fait, originario di Bolzano, da quasi trent’anni in Israele, professore di biochimica vegetale all’Istituto Blaunstein, con una specializzazione nella viticultura in zone climatiche estreme. “Lo sfruttamento delle aree destinate alla produzione agricola ha raggiunto la saturazione. Lo spreco idrico nell’irrigazione è insostenibile: per un’arancia che mangiamo, vengono utilizzati in media 50 litri d’acqua!”
Tra i wadi del deserto roccioso del Negev nei pressi del Kibbutz Sde Boker - il luogo che il fondatore dello Stato, David Ben Gurion, negli anni ’60 scelse come casa per dare corpo al suo motto “fare fiorire il deserto” - l’Istituto Blaunstein è considerato un’eccellenza mondiale nella ricerca per contrastare siccità e aridità. Tanto che qui la desertificazione è un fenomeno sotto controllo, proprio per via dell’investimento in tecnologie mirate alla coltivazione dei terreni aridi e al risparmio idrico. Tra queste dune è stata inventata l’irrigazione a goccia negli anni ’60, e Israele oggi è “il primo Paese al mondo per l’utilizzo di acque riciclate e desalinizzate: costituiscono il 70% del totale delle risorse idriche utilizzate nell’agricoltura” ci dice il professor Fait. Non lontano da qui, nel Centro R&D Aravà, viene prodotto il 70% dell’agricoltura israeliana destinata ad esportazione.
Una minaccia che ci riguarda sempre più da vicino. Sono sfide che riguardano anche l’Italia: il Cnr riporta il continuo aumento di aree nel Sud del Paese in cui la sostanza organica nel suolo raggiunge un allarmante 2%, come ha ricordato nel suo saluto introduttivo l’Ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti, che da anni testimonia il sostegno del nostro Paese alla conferenza DDD.
Secondo i ricercatori, è questione di un paio di decenni perché anche il Sud dell’Europa si trovi faccia a faccia con il fenomeno della desertificazione. Per questo c’è molta attenzione verso l’esperienza israeliana. Nel suo ambito, Fait ha avviato svariate cooperazioni con atenei europei, tra cui l’Università di Udine e persino viticoltori da Bordeaux guardano al Negev, dove, nonostante le condizioni climatiche sfavorevoli, negli ultimi 15 anni sono nate ben 20 aziende vinicole di successo.