Il permafrost dell'Artico è a rischio disgelo. Ed è un pericolo per tutti
di Viola Rita
Secondo un team scandinavo, fino a un terzo dei terreni ghiacciati che compongono le regioni artiche, il cosiddetto permafrost, rischia di sciogliersi entro 30 anni. Causando un forte aumento delle emissioni di gas serra e una perdita della biodiversità. Attenzione all'Artico
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Gli effetti negativi dei cambiamenti climatici diventano via via più evidenti. E possono avere un ruolo anche nelle pandemie, dato che causano lo spostamento di intere comunità umane verso habitat propri delle specie animali. Oggi arriva un'altra allarmante prova dei danni collaterali di questi cambiamenti: in un futuro non lontano buona parte del permafrost, il terreno perennemente ghiacciato delle regioni artiche, potrebbe andare incontro allo scioglimento. Lo mostra uno studio condotto dall'università finlandese di Oulu, insieme ad altre università scandinave e dell'Europa del nord, che svela che in uno entro 50 anni circa la metà del permafrost è a rischio scioglimento, con un importante aumento delle emissioni serra, dato che nei ghiacci è conservata un'ampia quantità di carbonio. I risultati sono pubblicati sulla rivista Environmental Research Letters.
Cos'è il permafrost. Il permafrost (in italiano permagelo) è un terreno perennemente ghiacciato, che compone circa un quarto delle regioni dell'emifero settentrionale, fra cui l'Europa del Nord, la Siberia e l'America settentrionale, ma anche in alta montagna – ad esempio sulle Alpi ad elevate altitudini. Questo terreno si trova subito sotto la superficie del suolo, che invece non necessariamente è sempre gelata, e si è formato durante migliaia di anni a causa dell'accumulo di ghiaccio. Il permafrost probabilmente è rimasto intatto senza scongelarsi dall'ultima glaciazione, avvenuta circa 10 mila anni fa. Al contrario la superficie esterna, visibile, è sensibile ai cambiamenti del clima dovuti alle stagioni e spesso si scongela durante il periodo estivo. Il permafrost, però, non è indistruttibile e il riscaldamento globale potrebbe danneggiarlo e e causare rapidamente il parziale scioglimento, con conseguenze importanti per gli ecosistemi a livello globale. Per questo la riduzione delle aree perennemente ghiacciate è oggetto da tempo degli studi degli scienziati, ad esempio all'interno della rete dell'International Permafrost Association.
Perdite importanti del permafrost entro il 2050. I ricercatori hanno creato un modello statistico che, sulla base di dati e delle proiezioni del riscaldamento globale attuale e futuro, esplora i processi che riguardano la superficie delle regioni artiche nelle condizioni attuali, nel passato e nel futuro tenendo conto dei cambiamenti climatici. Gli scienziati hanno esaminato particolari strutture rintracciabili nel suolo che compone il permafrost. Fra queste ci sono i pingo, ovvero tumuli di ghiaccio ricoperti da terra, che si estendono anche diverse decine di metri in altezza e per centinaia di metri di diametro. Altri elementi sono i poligoni da cunei di ghiaccio, ovvero crepe sopraelevate nel terreno riempite di ghiaccio, e i ghiacciai rocciosi, costituiti da detriti di roccia ghiacciati negli interstizi.
Le stime sullo scioglimento. Gli autori hanno considerato due scenari di cambiamenti climatici, delineati in un precedente, uno in cui il riscaldamento globale è più moderato e un altro, più pessimistico, in cui è molto marcato. Nell'indagine hanno rilevato che, considerando lo scenario migliore, entro la metà del secolo le aree e le formazioni caratteristiche del permafrost potrebbero perdere un quinto della loro estensione. Ma se applichiamo l'ipotesi peggiore la riduzione delle aree ghiacciate potrebbe arrivare a un terzo delle formazioni di permafrost. Inoltre, sempre in questo scenario, entro 50 anni, in un periodo nel periodo che va dal 2060 al 2080, più della metà delle aree che ospitano il permafrost potrebbero subire delle alterazioni tali da causarne lo scioglimento.
Dal gas serra al crollo del terreno. Il disgelo del permafrost è un bel problema. Al di sotto dei ghiacci, infatti, ci sono vasti serbatoi di carbonio: si stima che questi terreni congelati contengano in tutto l'emisfero settentrionale circa ben 1.500 miliardi di tonnellate di questo elemento chimico. Nel caso di uno scioglimento del ghiaccio, il carbonio viene trasformato ed immesso nell'atmosfera sotto forma di anidride carbonica e metano. E queste emissioni, lo sappiamo, contribuiscono al riscaldamento globale, che così verrebbe accelerato già nei prossimi decenni, come spiega Miska Luoto dell'Università di Helsinki.
Ma non è tutto. La scomparsa dei pingo e delle altre formazioni tipiche, inoltre, modificherebbe l'assetto idrologico e geografico dell'Artico, incidendo potenzialmente sulla biodiversità, sulla geologia e sulla biochimica di regioni geografiche molto estese. Il pericolo peraltro coinvolge anche chi abita in queste regioni settentrionali. “Lo scioglimento dei ghiacci nelle aree edificate”, spiega Jan Hjort dell'Unità di ricerca geografica all'università di Oulu, “influisce negativamente sulla capacità portante del suolo”, ovvero su quanto può resistere prima di rompersi. “E questo – spiega l'esperto – è una minaccia per le strade e gli edifici”.
Ma possiamo fare molto. Questi dati non sono incoraggianti, tuttavia ci sono anche delle buone notizie: possiamo agire per contrastare la perdita dei terreni ghiacciati nell'Artico. Lo studio, infatti, mostra che numerose delle condizioni che favoriscono la formazione e la resistenza delle strutture del permafrost possono essere preservate se si arresta l'aumento delle emissioni di gas serra dovute ad attività umane.