L'alpinista Nives Meroi è nata nel 1961 nella Bergamasca
"Oggi senza ghiacciai e morene la terra è rotta". Parla la donna che ha scalato tutti e 14 gli 8mila del mondo: "In Himalaya i luoghi sono irriconoscibili da una primavera all'altra". "Nelle terre estreme gli eroi sono quelli che restano e lottano per difendere l'armonia della natura"
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Non mi ero mai sentita sola, in montagna. Oggi guardo le morene abbandonate dai ghiacciai che scompaiono, o gli elicotteri che in Himalaya rovesciano sui campi base più avanzati tonnellate di materiale destinato a trasformarsi nella discarica dei turisti d'alta quota, e resto paralizzata dalla solitudine. La terra è rotta, ogni giorno muore davanti ai nostri occhi: qualcuno esibisce commozione, ma nessuno fa qualcosa di decisivo per aggiustarla. Rimanere soli sul deserto del mondo non è più un'ipotesi astratta".
Le donne del climbing
"Oggi senza ghiacciai e morene la terra è rotta". Parla Nives Meroi, la donna che ha scalato tutti e 14 gli 8 mila del mondo. In poche, come lei, hanno sfidato l'alta quota. Ecco alcune delle scalatrici che hanno fatto la storia del climbing
Mary Varale. Inizia a scalare nel 1924, impressionando per l’audacia scalatori come Giovanni Battista Piaz (foto: YouTube)
Di Nives Meroi, anche quando parla della nostra casa che brucia, resta indimenticabile il sorriso. A 59 anni le si apre sempre sulla faccia perché, esauriti i percorsi interni, esce dagli occhi. Glielo ha insegnato il coraggio: prima di tutto la forza di tornare indietro quando una vetta, o un'avventura, impone il prezzo della vita. "I luoghi estremi e inesplorati - dice sulla riva del lago di Fusine, dove abita ai piedi del Mangart - costringono a scegliere. La scelta, come ogni atto definitivo, smaschera". Lei ha scelto su un ghiaccio del Kangchendzonga. Una leucemia fulminante, nel 2009, ha colpito il marito Romano Benet oltre quota 7 mila. Nives lo ha riportato a valle: per restargli vicino ha rinunciato a diventare la prima donna al mondo a salire su tutti i quattordici Ottomila del pianeta. Otto anni dopo, in cima all'Annapurna, l'attesa è finita: Nives e Romano hanno voluto essere la prima coppia della storia a toccare tutti i tetti della terra: senza ossigeno, in stile alpino, senza l'aiuto di portatori sherpa in parete, riportando a valle tutti i rifiuti.
Dandoti il nome della neve i tuoi genitori avevano capito tutto? Come sei diventata un'alpinista con l'apostrofo?
"Sono nata in pianura, nella Bergamasca, nessuno poteva immaginare di nascondere nel nome il mio destino. Le montagne dell'Asia le ho incontrate a 32 anni, partendo per il K2. Avevamo visto una fotografia, restando incantati dalla sua forma perfetta. Sono un'alpinista perché rimango rapita dalla bellezza ignota, lontana ed essenziale".
Per non "fare aspettare" tuo marito al campo base, hai rinunciato a record, fama e ricchezza: qual è il punto cruciale della tua vita?
"Il punto è che non può essere imbarazzante rimanere esseri umani, sempre e senza rimpianti. Scegliere l'amore, come rispettare la natura, è normale: incomprensibile è bere ogni giorno una piccola dose di veleno e lentamente suicidarsi".
L'accelerazione del surriscaldamento climatico sconvolge prima i sistemi più delicati della Terra: cosa succede oggi in Himalaya?
"I luoghi, da una primavera all'altra, sono irriconoscibili. Ti affidi alle immagini di chi ti ha preceduto e non li trovi più. Le montagne, senza ghiaccio e neve, si sgretolano e franano. I villaggi, senza più acqua, dopo secoli vengono abbandonati. Il potere non capisce che questa periferica agonia anticipa di poco quella delle metropoli e dei cosiddetti centri della nostra civiltà. Romano ed io non saliamo per l'ebbrezza dell'impresa, ma per il piacere del viaggio e di un'avventura. Se non posso più guardare la faccia delle persone, nei campi, sui pascoli e nei mercati, partire mi rende complice".
Intendi dire che l'alpinismo tradisce la terra con cui scrive la propria storia?
"Dico che nelle terre estreme gli eroi sono quelli che restano. La loro vita e la loro lotta quotidiana per proteggere l'armonia della natura sono sottovalutate. Gli exploit degli alpinisti star, in una società senza bandiere da opporre al nemico, vanno ridimensionati".
Quando sali e scendi, porti tutto sulle tue spalle: non credi sia un rischio inutile?
"Io credo nel potere dell'essenzialità. Il tuo limite devi essere tu. Se ti spingi oltre, sei nell'artificio del doping. Consumare solo il necessario è il prezzo della felicità: si cammina, non parlo solo di alpinismo, per stare dentro la bellezza e sentirsi felici".
Perché, da oltre quarant'anni, vai in spedizione sempre con tuo marito?
"Siamo due solitudini che hanno bisogno di compagnia. Lui trova e apre la strada, io do la certezza di arrivare alla fine in entrambe le direzioni. Il mondo resta un mistero: insieme fa meno paura".
Qual è il male più dannoso del nostro tempo?
"Il valore assoluto consegnato al denaro e al successo pubblico. Sono due elementi volatili da consumare nel presente. Le loro conseguenze così risultano irrilevanti. La vita sulla terra, come l'alpinismo, si estingue perché non guardiamo lontano".
Per l'alpinismo hai rinunciato ad essere madre: ti pesa?
"A un uomo non si chiede mai se per i suoi sogni ha rinunciato ad essere padre. Per i figli prima era presto, poi è stato tardi. Romano ed io non abbiamo rinunciato a vivere".