
·UN FENOMENO POCO STUDIATO
Quello delle trombe d’aria d’altronde è un campo poco studiato in Italia: a parte qualche ricerca pubblicata a cavallo tra gli anni '90 e i 2000, le analisi scientifiche del fenomeno sono ancora piuttosto carenti. E le ragioni probabilmente vanno ricercate nelle caratteristiche dei tornado nostrani. "Anche se possono causare ingenti danni, le trombe d’aria che colpiscono il nostro territorio hanno una piccola portata", spiega Miglietta. "Quella di Taranto del 2012, ad esempio, ha interessato un’area larga circa 300 metri e lunga una decina di chilometri. Molto contenuta dunque rispetto ad altri fenomeni meteorologici come alluvioni, grandinate o piogge intense, ma sufficiente comunque per provocare ingenti danni quando il tornado colpisce una zona abitata o un’area produttiva come l'Ilva". Per questo, l'esperto del Cnr ha deciso di realizzare la sua ricerca.
·LA RICERCA
Per il suo studio Miglietta è partito dalla banca dati dell'European Severe Storm Laboratory, un ente autonomo che studia e monitora gli eventi meteo estremi su tutto il territorio europeo. Trattandosi di un dataset continentale, la copertura dei fenomeni registrati per ogni singola regione, o paese, non è altissima, e il ricercatore ha quindi deciso di integrare i dati disponibili con altre fonti: le notizie riportate dai media, e le testimonianze raccolte in prima persona da gruppi e forum di appassionati su internet. In questo modo ha ottenuto una mappatura che mette in luce le proporzioni del fenomeno, e rivela quali sono le aree più colpite. In media ogni anno l’Italia è colpita da 37 trombe d’aria e 71 trombe marine, di potenza variabile. Esiste inoltre una forte variabilità annuale, con il picco degli ultimi 10 anni registrato nel 2014, un anno anomalo a livello meteo, in cui sono state registrate 141 trombe d’aria e 76 trombe marine. E anche se nella maggior parte dei casi si tratti di fenomeni di potenza limitata, quelli pari o superiori al secondo grado della scala Enhanced Fujita (o EF 2, capaci cioè di produrre danni considerevoli a cose e persone) sono stati ben 24 nell’arco di 10 anni.
·GLI HOT SPOT
Non tutta la penisola comunque ha le stesse probabilità di sperimentare un tornado. Tre zone, in particolare, presentano il rischio maggiore. La prima è la pianura veneta, dove si registra il record di eventi pericolosi: è in quest’area che è avvenuto l’unico evento EF5 registrato in Italia, il tornado del Montello del 1930, i cui venti che soffiavano a quasi 500 chilometri orari uccisero 23 persone e devastarono un’area lunga 80 chilometri. “In questa zona il fenomeno è comune in primavera e in estate – spiega Miglietta – ed è causato dall’incontro dell’aria calda proveniente dalla Pianura Padana con quella fredda che scavalca le Alpi”.
Le altre due sono invece il litorale tra Lazio e Toscana e il Salento, dove sono molto comuni le trombe marine, ma i fenomeni risultano in media meno potenti, e colpiscono nella tarda estate quando banchi di aria calda entrano in contatto con la superficie del mare ancora piuttosto caldo. “In queste tre zone abbiamo una frequenza di tornado che è sovrapponibile a quella delle aree più colpite degli Stati Uniti, anche se ovviamente i danni che causano non sono paragonabili”, conclude il ricercatore del Cnr.
“In ogni caso dallo studio emerge chiaramente che anche da noi si tratta di un fenomeno fin troppo comune. Per questo motivo si dovrebbe riflettere sull’opportunità di attivare in futuro un sistema di allerta precoce modulato su quanto realizzato negli Stati Uniti, qualcosa che in Europa ancora non esiste. E nonostante richiederebbe almeno una decina di anni per essere messo in funzione, potrebbe rappresentare uno strumento importante, visti gli ingenti danni che possono provocare anche questi fenomeni di potenza tutto sommato ridotta”.