Alle Gallerie delle Prigioni trenta opere d’arte tra guerra e pace
Apre a Treviso la mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata. Merz incorona con il neon un igloo di terracotta, esposta anche un’opera dello street artist francese JR
Elena Grassi
L’igloo di Mario Merz incoronato dalla scritta al neon
Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri. Antonio Gramsci”. Un avvertimento? Una sentenza? Una premonizione? È la citazione composta in un enorme pannello rosso dall’artista Alfredo Jaar, che accoglie il visitatore alle Gallerie delle Prigioni in piazza Duomo a Treviso, dove mercoldì 5 aprile, dalle 15.30 alle 20, si inaugura la mostra “La guerra è finita! La pace non è ancora iniziata” a cura di Fondazione Imago Mundi.
Alle 18.30 è previsto l’incontro con l’artista georgiana Eteri Chkadua in dialogo con il curatore Mattia Solari, per sondare attraverso la visione di una donna, di una artista del “femminismo magico”, e di una cittadina di un territorio a più riprese martoriato dal conflitto con la Russia, il senso della “guerra” e della “pace”. Una trentina sono le opere esposte, dai video ai dipinti, dalle installazioni alle fotografie, firmate da quindici artisti internazionali, che culminano con due presenze d’eccezione alla fine del percorso: l’igloo in terracotta coperto dalla scritta al neon “Se il nemico si concentra perde terreno, ma se si disperde perde forza” e realizzato da Mario Merz, celebre esponente dell’arte povera, e una nuovissima opera del francese JR, street artist tra i più quotati al mondo, che a Treviso ha mandato una stampa in negativo su legno di una foto di bambini profughi, colti in una corsa libera e carica di speranza verso il futuro.

L'opera del francese JR
Ad aprire l’allestimento, in omaggio al presente, una selezione di scatti del fotoreporter ucraino Maxim Dondyuk, un excursus decennale, tra bombardamenti, fuoco, città distrutte, dalla Rivoluzione arancione nelle strade di Kiev del 2013 all’attuale fronte del conflitto, passando per la questione del Donbass. Si possono vedere poi i video dei campi di addestramento israeliani ripresi da Ran Slavin, un letto in rame di Francesco Arena, simbolo della branda dei soldati, e una serie di tappeti afghani, prestati dal collezionista Sergio Poggianella e decorati con motivi bellici che partono dagli anni Sessanta e arrivano alla rappresentazione del crollo delle Torri Gemelle.

I tappeti afghani decorati con motivi bellici
Ecco che la propaganda si insinua nella quotidianità, come dimostrano i due interessanti documentari di Fulvia Stano e Francesco Spampinato, in cui si ripercorre la figurazione delle guerre in tutta la storia dell’arte e all’epoca della “post-verità” e delle “fake news” con fotomontaggi costruiti ad arte per plasmare l’immaginario collettivo.
È in mostra anche la prima “bandiera della pace” portata in marcia da Perugia ad Assisi nel 1961, e altri lavori firmati da Terry Atkinson, Massimo Bartolini, Harun Farocki, Leon Golub, Richard Mosse, Pedro Reyes, Martha Rosler e Sim Chi Yin. «È una visita dal “tempo lungo” perché ha bisogno di riflessione – commenta Enrico Bossan, direttore della Fondazione Imago Mundi – queste opere vogliono stabilire un dialogo tra loro e con il visitatore: il valore dell’ascolto è una strada verso la pace».
In collaborazione con il Festival Biblico saranno ospitati Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio il 4 maggio alle 20.30, mentre sabato 6 maggio alle 11 il biblista Roberto Vignolo e alle 15.30 Marcello Spagnulo, ingegnere aerospaziale e consigliere scientifico di Limes. La mostra è aperta fino al 17 settembre con ingresso libero venerdì ore 15. 30-18. 30, sabato e domenica ore 10-13 e 15. 30-18. 30. sabato e domenica ore 10-13 e 15. 30-18.30.
I commenti dei lettori